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Le grandi multinazionali del pet food

multinazionali del pet food

Chi produce quello che metti nella ciotola? La fetta più grossa del mercato alimentare per cani e gatti è nelle mani di tre grandi multinazionali del pet food. Vediamo insieme quali sono.

Sai chi produce quello che metti nella ciotola del tuo cane e del tuo gatto?

Nella maggior parte dei casi i marchi in commercio non fanno riferimento ad un’azienda, ma sono di una multinazionale che commercializza il cibo – prodotto per suo conto da terzi non sempre facilmente rintracciabili – investendo milioni in marketing e pubblicità, costi che incidono sul prezzo finale a discapito della qualità del prodotto.

A parità di prezzo un’azienda che investe miliardi in comunicazione sottrae risorse che potrebbero essere impiegate nella ricerca e nell’utilizzo di materie prime di qualità, ma dal momento che – anche se può apparire retorico affermarlo – il fine ultimo è l’utile non la salute degli animali, è più semplice e redditizia la prima strada.

Le tre grandi multinazionali del pet food

Il mercato degli alimenti per gli animali da compagnia è enorme, la scelta è molto ampia, esistono tantissime marche, ma chi è che realmente produce quello che mettiamo nella ciotola dei nostri cani e gatti?

La fetta più grossa di questo mercato in crescita esponenziale, a livello mondiale, è nelle mani di tre grandi multinazionali del pet food (e non solo, visto che sono proprietarie di una vasta gamma di marchi in moltissimi settori, principalmente alimentari): Mars Petcare inc., Nestlé Purina Petcare e Colgate Palmolive.

Nella classifica delle 101 aziende top del 2021 stilata da PetFoodIndustry al primo posto compare la Mars Petcare inc. che, proprietaria di oltre venti marchi diversi, solo nel settore pet food ha chiuso l’anno con un fatturato di 19 miliardi di dollari.

multinazionali del pet food

Appartengono a questa multinazionale tra gli altri:

  • Brekkies
  • BuckEye
  • Cesar
  • Chappie
  • Dreamies
  • Eukanuba
  • Frolic
  • Greenies
  • IAMS
  • James Wellbeloved
  • Katkins
  • Kitekat
  • Nutro
  • Pal
  • Pedigree (oltre al cibo secco e umido anche: Denta Tubos- Dentastix – Dentastix Chewy Chunx – Biscrock – Markies – Jumbone Mini, Medium, Maxi – Schmackos – Ranchos Originals – Tasty Bites – Ranchos Slices)
  • Royal Canin
  • Sheba
  • Temptation
  • Whiskas

Seconda in classifica è la Nestlé Purina PetCare che nel pet food ha fatturato 16,5 miliardi di dollari e possiede oltre trenta marchi, tra i quali:

  • Alpo
  • Arthur’s
  • Bella
  • Beneful
  • Beggin
  • Beyond
  • Bonus
  • Bonio
  • Busy Bone
  • Cat Chow
  • Chunky
  • Dentalife
  • Dog Chow
  • Fancy feast
  • Felix
  • Fido
  • Friskies
  • Go cat
  • Gourmet
  • Kit Kaboodle
  • Moist & Meaty
  • Omega tasty
  • One
  • Prime
  • Pro Plan
  • Pro Plan Veterinary Diet
  • The Pioneer Woman
multinazionali del pet food

Terza è la Colgate Palmolive che nel settore pet food ha chiuso il 2021 con “soli” 3 miliardi e 330 milioni di dollari, ed è detentrice del marchio Hill’s Pet Nutrition (Prescription Diet e Science Diet).

Il grande business del recupero degli scarti alimentari e la forza del marketing

Lanciarsi nel mercato del pet food per multinazionali di questo tipo che operano nei più svariati settori, non ultimo quello della produzione di cibo industriale dedicato al consumo umano, che genera quantità enormi di scarti alimentari, diventa una grande opportunità per recuperare questi scarti di produzione, anche a costo di una bassa qualità del prodotto finale e a danno della salute dei nostri compagni a quattro zampe.

La comunicazione pubblicitaria del pet food è poco regolamentata, è possibile infatti affermare qualsiasi cosa, il limite è costituito solo dall’immaginazione.

Lo sforzo maggiore di queste grandi aziende è quello di diversificare l’offerta dei loro prodotti in termini di packaging, destinazione d’uso, grammatura, ma differenze sostanziali non ce ne sono, anche se si traducono in ingiustificate differenze di prezzo, come è emerso da un test svolto dalla rivista 60 millions de consommateurs.

Quello che più conta non è il contenuto dei sacchi di crocchette o delle lattine di cibo umido, ma la capacità che le multinazionali del pet food hanno di coinvolgere e avere come alleati gli esponenti delle categorie del settore: allevatori, veterinari, commercianti, organizzatori di esposizioni canine e feline. Si crea in questo modo un giro di profitto per tutti.

Gli investimenti nel marketing e nella comunicazione sono ingenti: sponsorizzazioni di eventi, fiere e convegni veterinari, campagne pubblicitarie, scontistica forte per gli allevatori che sono spinti a suggerire il prodotto a chi acquista i cuccioli.

Anche durante gli anni di studio universitario ai futuri veterinari viene insegnato che “gli alimenti industriali di fascia alta sono un valido sostituto della dieta naturale. […] I congressi e i corsi di formazione post universitaria sono finanziati dalle aziende di alimenti.*1

I medici veterinari che escono dalla loro zona di comfort, che si pongono domande in maniera critica e curiosa, arrivano a fare osservazioni importanti e a mettere in relazione l’alimentazione inappropriata con la proliferazione di disturbi e malattie, così come nei primi anni ’80 del secolo scorso è successo al medico veterinario australiano Ian Billinghurst.

Le multinazionali del pet food e gli esperimenti sugli animali

Tutte e tre queste multinazionali del pet food sono tra le aziende sotto boicottaggio internazionale perché eseguono sperimentazione sugli animali.

Effettuano test invasivi su cani e gatti per provare l’efficacia e la non-pericolosità dei cibi che producono. Questi test consistono nell’indurre malattie in animali sani, per poi provare a curarli con i cibi medicati.

Passano la loro vita sempre in gabbia tra sofferenze, prigionia e iperalimentazione forzata, gli vengono provocati disturbi e malattie, tubi infilati in gola, nello stomaco, nel retto. Un terribile incubo.

A riprova di quanto detto, il 6 dicembre 2015 sul terzo canale della Rai andò in onda una puntata di Report, un programma di giornalismo d’inchiesta, sul giro d’affari che ruota attorno agli animali domestici, alle cure e alla loro alimentazione: Royal Canin, di cui Mars è proprietaria, e Hill’s – specializzata proprio nei cibi medicati – non permisero ai giornalisti di visitare i loro canili, gattili e centri di ricerca dove vengono effettuati i test e gli esperimenti sugli animali.

Non sempre nella ciotola c’è quello che crediamo

Durante la puntata su citata di Report sono emerse anche una serie di cose sconcertanti sul contenuto occulto nel cibo prodotto dalle grandi multinazionali del pet food.

Le micotossine

La ricercatrice Annie Leskoviz analizzando un centinaio di prodotti industriali ha portato in evidenza che almeno un quarto di questi conteneva nei cereali livelli preoccupanti di micotossine, sostanze tossiche prodotte da funghi e muffe, potenziali generatrici di forme tumorali.

Tra queste troviamo:

l’aflatossina, che colpisce il fegato;

l’ocratossina che colpisce i reni;

la fumonisina che colpisce l’apparato digerente.

I conservanti

I conservanti sono dei componenti, solitamente chimici, che vengono aggiunti ai prodotti, perché durino più a lungo evitandone il deperimento. Dal momento in cui termina la produzione, tra lo stoccaggio nei magazzini, la distribuzione ai rivenditori all’ingrosso e poi a quelli al dettaglio, per non parlare del tempo che stazionano sugli scaffali di questi ultimi, passano mesi, a volte anni. 

Capita di frequente di leggere sulle confezioni di queste grandi aziende “senza conservanti”, che rimanda automaticamente ad un’idea di cibo sano, ma questa dichiarazione non sempre è veritiera, perché i conservanti possono essere già presenti nelle materie prime utilizzate.

Le multinazionali del pet food non producono direttamente il cibo che commercializzano, ma si affidano a produttori sparsi per il mondo che spesso restano sconosciuti: in una filiera del genere come è possibile sapere cosa realmente contiene il prodotto finito?

Dall’inchiesta di Report è emersa la presenza di due conservanti di sintesi, il BHA (Butilidrossianisolo – E 320) e il BHT (Butilidrossitotulene – E321), utilizzati come antiossidanti al posto della vit. E naturale troppo costosa, entrambi nella lista delle sostanze cancerogene.

Entrambi si accumulano nei grassi del corpo, hanno effetti tossici su fegato, polmoni e reni e alterano il meccanismo della coagulazione del sangue. 

La DGA (Dose Giornaliera Ammessa) è pari a soli 0,05 mg dunque c’è un altissimo rischio nell’assumerli quotidianamente con il cibo, soprattutto se, come avviene in molti casi, gli animali cominciano a mangiare questo tipo di alimenti già fin dallo svezzamento negli allevamenti sponsorizzati dalle multinazionali del pet food, e i nuovi proprietari vengono spinti a continuare ad usare sempre lo stesso tipo di cibo.

Il BHA è risultato essere presente nel cibo della Hill’s e della Purina Nestlé, mentre la Royal Canin ha confermato l’uso del BHT. Dopo avere già procurato danni il Beneful della Nestlé è stato ritirato dai supermercati italiani, mentre negli Stati Uniti è monitorato dalla FDA dopo numerose associazioni di avvelenamento o di morte da parte dei consumatori.

La data di scadenza diventa un indicatore affidabile della presenza o meno di conservanti: normalmente un prodotto senza conservanti non può durare più di 6 mesi dall’apertura senza perdere qualità o addirittura irrancidire.

I metalli pesanti, i pesticidi, i diserbanti, l’acrilammide

Nel 2020 la rivista “Il Salvagente” ha condotto un’analisi su 15 prodotti delle grandi multinazionali del pet food e di uso più comune presenti nei supermercati italiani.

Ne è risultato che circa 7,3 milioni di proprietari, pur pensando di offrire il meglio al proprio amico a quattro zampe in realtà gli propongono un pasto giornaliero a base di metalli pesanti come cadmio, piombo e mercurio, e sostanze come arsenico, acrilammide e glifosato, tutt’altro che salutari. 

Tuttavia tutti i marchi esaminati sono in regola, perché la presenza di queste sostanze è risultata essere in tutti i casi al di sotto dei limiti consentiti dalla legge. 

Ma ci sono!! E l’accumulo non è certo da sottovalutare, soprattutto per animali come i cani e i gatti che hanno un peso che va dai 3 kg ai 40 kg.

Ecco i 15 marchi esaminati:

  • Almo Nature
  • Conad
  • Coop
  • Coshida
  • Friskies
  • Hill’s
  • Le Chat
  • Miglior Gatto
  • Monge
  • N&D
  • Natural Trainer
  • Purina
  • Radames
  • Royal Canin
  • Ultima

Le analisi hanno evidenziato in tutti i campioni almeno 3 tipi di metalli pesanti, da quantità irrisorie a quasi 4 mg.

Per quanto riguarda i pesticidi, purtroppo non esiste per il pet food alcuna norma che ne regoli il limite massimo. Le analisi hanno rilevato la presenza di almeno un pesticida in tutte le crocchette: il piperonyl butoxide che l’Epa, l’Agenzia americana per l’Ambiente, nel 2015 ha classificato come possibile cancerogeno per l’uomo.

L’acrilammide è una sostanza che si sviluppa ad alte temperature nei cibi contenenti amido ed è riconosciuta come sostanza cancerogena per gli animali e possibilmente cancerogena per l’uomo; non esiste un limite di legge per gli alimenti destinati all’alimentazione umana, così come in quelli per animali.  Tra i marchi esaminati quello che è risultato contenere la maggior quantità di acrilammide è stato N&D Ocean.*2

In uno dei marchi è stato rilevato anche il glifosato, un diserbante sistemico molto diffuso e commercializzato dalla Bayer (altra multinazionale, proprietaria della Monsanto), sotto il nome di Roundup, del quale è stata ampiamente dimostrata la canceroginità. Numerose testimonianze e sentenze, l’ultima recentissima della Corte Suprema degli Stati Uniti , hanno dato ragione a chi ha denunciato questo gravissimo effetto collaterale.

L’inganno delle Diete Medicate

Questo argomento l’ho già in parte trattato in un altro articolo, che puoi leggere qui.

Sempre nell’inchiesta di Report è stata dimostrata l’inefficacia di quegli alimenti che vengono fatti passare per curativi di precise patologie, come per esempio le insufficienze renali o le problematiche gastroenteriche. 

Questi prodotti, che vengono promossi dagli stessi veterinari assecondando gli interessi delle aziende, invece di migliorare lo stato di salute dell’animale lo peggiorano: molte testimonianze dei proprietari a riguardo hanno evidenziato che passando ad una dieta naturale e appropriata gli animali sono migliorati, alcuni al punto di guarire totalmente. 

Effettivamente se si leggono con attenzione le etichette di questi cibi, molto spesso i cereali sono il primo ingrediente, e se non compaiono come primo ingrediente a conti fatti sono quello in quantità maggiore, oppure sono presenti grandi quantità di legumi, poco gestibili dall’apparato digerente di un carnivoro, e ricchi di antinutrienti, oltre ad essere una fonte proteica di basso valore biologico, in quanto vegetali.

Molti veterinari sostengono a gran voce che non è affatto vero che in caso di insufficienza renale un cane non debba mangiare la carne o prodotti di origine animale, ma “quello che fa la differenza tra un buon alimento e uno pessimo, per un carnivoro, è il valore biologico delle proteine […]  è importante che la carne sia magra, perché spesso associato all’insufficienza renale si trova un alto tasso di grassi e colesterolo nel sangue*3

Esistono anche realtà virtuose

Se per le grandi multinazionali del pet food il cibo destinato ai cani e ai gatti rappresenta l’ultimo stadio della lavorazione alimentare, prodotto con gli scarti della produzione del cibo destinato agli esseri umani, ci sono sempre più piccole aziende che applicano standard etici e propongono un cibo diverso e sano.

Fortunatamente il tema dell’alimentazione animale suscita una sempre crescente sensibilità e queste piccole realtà – poco conosciute perché non hanno la potenza economica delle big per investire in pubblicità, ma preferiscono farlo sulla qualità del prodotto che diventa la loro forza – pongono attenzione alla qualità della materia prima e all’appropriatezza della composizione, non utilizzano additivi né conservanti di sintesi, non eseguono test sugli animali – anche perché la qualità dei loro prodotti non li rende necessari – non ricorrono ad appetizzanti, farine animali, ogm, e permettono una tracciabilità delle carni provenienti da animali sani, allevati senza ormoni e antibiotici e nutriti in modo naturale.  

La filiera di produzione può essere un altro indicatore di qualità: più è breve migliore sarà il prodotto, ferme restando tutte le altre caratteristiche su citate.

Scegliere bene il veterinario

Dato che molto spesso, e giustamente, nella scelta dell’alimentazione da seguire ci si affida al consiglio del veterinario, voglio concludere lasciandovi riflettere su due affermazioni di veterinari in cui mi sono imbattuta studiando questo argomento.

Nel testo “Il libro nero dei veterinari*4 della dottoressa veterinaria Jutta Ziegler compaiono due conversazioni avvenute tra colleghi. Una riportata dalla stessa autrice, l’altra citata dall’autore della prefazione all’edizione italiana, il veterinario Stefano Cattinelli.

La dottoressa Ziegler racconta che confrontandosi con un suo collega, strenuo sostenitore dei cibi dietetici per animali, al quale aveva chiesto se fosse consapevole di cosa causasse ai suoi pazienti prescrivendo quei prodotti le aveva risposto: “Sì, certo che lo so, ma così mi procuro sempre più pazienti. In questo modo ci campo e molto bene anche!

Il dottor Cattinelli invece riporta di un’occasione in cui, aspettando una sua collega che stava svolgendo l’ultima visita della giornata, aveva ascoltato la conversazione tra lei e una sua cliente sulla necessità assoluta di vaccinare il suo gatto che viveva sempre in casa, contro malattie nelle quali sarebbe stato assai improbabile si sarebbe mai imbattuto. Quando furono soli le domandò per quale motivo suggeriva vaccinazioni superflue, la risposta della sua collega fu: – “Ma io ho tre figli!“.

Questo deve farci capire che l’approccio alla professione del medico veterinario può essere molto diverso e vario, e che il reale interesse ad aiutare e risolvere le problematiche dei suoi pazienti senza accanimenti terapeutici e consigliando in maniera disinteressata dipende esclusivamente dalla sua correttezza, la sua capacità critica e dalla sua predisposizione all’empatia.

Sta a noi cercare il professionista che ha realmente a cuore la salute del nostro peloso e ha lasciato da parte sia il cinismo di quella che la dottoressa Ziegler chiama “monEtica”, l’etica del denaro, sia l’ignavia del non prendere posizioni e fare “come fanno tutti“.


Note

*1 Enio Morelli, medico veterinario in “BARF la dieta naturale per il tuo cane” – Sperling & Kupfer Editore

*2 fonte Il Salvagente

*3 Enio Morelli, medico veterinario in “BARF la dieta naturale per il tuo cane” – Sperling & Kupfer Editore

*4 Jutta Ziegler, medico veterinario in “Il libro nero dei veterinari. La medicina che fa ammalare gli animali” – Macro edizioni

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Valeria De Riso

Valeria De Riso

2 risposte

  1. Argomento che mi procura costantemente problemi, come faccio a sapere se quello che do al mio cane va bene o no?

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