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Imparare a leggere le etichette del cibo per cani e gatti. La Composizione

imparare a leggere le etichette

Nell’articolo precedente abbiamo visto qual è il cibo più sano per cani e gatti, che in quanto carnivori devono essere nutriti essenzialmente con la carne, e quanto sia importante imparare a leggere le etichette nel momento in cui si voglia scegliere un cibo commerciale.

Come già accennato, le etichette sono divise in diverse sezioni, di cui le due principali sono quelle della Composizione, cioè la lista dei singoli ingredienti contenuti nel prodotto, e i Componenti analitici, che riporta i risultati di un’analisi sul prodotto finito.

In questo articolo analizzeremo la sezione della “Composizione”, che è la parte più importante di un’etichetta in quanto ci fornisce notizie sulle materie prime e sulle quantità in cui sono presenti nel prodotto.

Imparare a leggere le etichette: la lista degli ingredienti

La normativa*1prevede che gli ingredienti siano elencati in ordine decrescente, vengono pesati uno ad uno e compaiono partendo da quello maggiormente presente; le quantità di ciascuno sono espresse in percentuale rispetto al totale, anche se indicare le percentuali non è obbligatorio (salvo di quelle degli ingredienti pubblicizzati sulla parte frontale della confezione) la scelta è infatti lasciata al produttore. Ecco perché nelle etichette non compaiono le percentuali di tutti gli ingredienti: di solito i produttori le indicano per gli alimenti di cui hanno interesse venga rilevata la presenza, mentre le omettono quando per diversi motivi (se sono troppe o troppo poche, o in quantità infinitesimali) e non hanno interesse a sottolineare il dato.

Imparare a leggere le etichette: primo ingrediente deve essere la carne

Il primo ingrediente a comparire e che, nell’imparare a leggere le etichette, ci aiuterà a capire quasi immediatamente se il prodotto che abbiamo di fronte è adeguato al nostro animale, deve essere la carne.

Nell’etichetta deve esserci scritta proprio la parola “carne“. Può sembrare una cosa scontata da dire, ma in realtà, leggendo le etichette della gran parte dei cibi in commercio la parola “carne” non compare affatto, né come primo ingrediente né in tutta l’etichetta.

Più di frequente ci si trova difronte a voci generiche come “pollo” o “agnello” non precedute da “carne di…“, oppure “proteine disidratate di…” o “proteine idrolizzate di…“, e a volte addirittura semplicemente “proteine idrolizzate di animali“, dicitura dalla quale è impossibile evincere di che animali si tratti. Oppure ancora si legge “farina di carne di… “.

Per imparare a leggere le etichette dobbiamo sapere cosa vogliono dire queste voci.

Le diciture generiche, che indicano il solo nome dell’animale, non accompagnato da “carne di…” , non danno la garanzia della presenza della carne intesa come muscolo o interiora, ma sottintendono che è presente tutto l’animale, senza specificarne le parti. Non c’è certezza dunque di quale sia la reale presenza di parti nobili e di alto valore biologico.

I produttori che utilizzano realmente la carne ci tengono a sottolinearlo, perché questo dà valore al prodotto, se non usano la parola carne vorrà dire qualcosa, non credi?

Quando si incontra la dicitura “proteine disidratate di…” molto semplicemente vuol dire che non c’è carne, ma la sola proteina estratta dalla carcassa dell’animale indicato. Nello specifico si tratta di proteine animali di categoria 3 (“sottoprodotti il cui rischio sanitario è minore o addirittura nullo, come gli scarti di macellazione che non possono essere utilizzati per la produzione di derrate alimentari destinate al mercato (grasso e ossa)”; “materiale da ritirare immediatamente, da bruciare o da utilizzare come materia prima in un’industria mangimistica autorizzata“)*2, vale a dire alimenti non destinati al consumo umano.

La dicitura “proteine idrolizzate di…” indica delle proteine ottenute attraverso un processo che imita l’idrolisi, che avviene naturalmente nell’apparato digerente e che spezza le catene amminoacidi che compongono le proteine al fine di renderle digeribili e assimilabili e, in alcuni casi, non riconoscibili dal sistema immunitario come allergeni.

Quello che permette di ottenere le proteine di cui si parla nell’etichetta però non è un procedimento naturale, ma è il risultato di una procedura chimica, meccanica, microbiologica o enzimatica durante la quale partendo spesso dagli scarti dell’animale – il più delle volte piume, setole, becchi ecc. – le catene di amminoacidi che li compongono vengono spezzate per renderli digeribili (in natura quando i cani e i gatti li mangiano li espellono con le feci perché non sono digeribili, né hanno valore nutrizionale, così come le altre parti di scarto).

È possibile trovare in etichetta proteine idrolizzate della carne e di organi interni, quindi non di scarti, ma di muscolo o interiora.

In questi casi però compare la parola “carne” o la specifica dell’organo presente, e in genere si tratta di alimenti secchi utilizzati per le diete di esclusione o per tamponare situazioni estreme, ma che vanno somministrati al cane esclusivamente dietro suggerimento e guida di un veterinario e per un periodo di tempo limitato.

Inoltre l’idrolisi delle proteine animali ha come effetto collaterale la produzione del glutammato monosodico (E621), un esaltatore del gusto che negli alimenti umani (il dado da brodo, per esempio) è stato collegato ad alcune dipendenze, infatti non è quasi più usato. Se presente nel cibo per animali non c’è obbligo di dichiararlo.

È chiaro dunque che in questi due casi abbiamo difronte un ingrediente non solo spesso molto lontano da un pezzo di carne o delle interiora essiccate o fresche che siano, ma anche di scarsissimo valore nutrizionale e di bassissimo valore biologico.

Quanto più il valore biologico di un alimento è basso, meno questo sarà digeribile e soprattutto assimilabile, oltre a produrre un numero molto alto di scorie che il corpo dovrà eliminare. Un ingrediente del genere invece di nutrire diventa una zavorra che sottopone fegato e reni, deputati alla depurazione, a un sovraccarico specie nel medio-lungo termine, causando i più svariati disturbi, dalle dermatiti alle insufficienze degli organi suddetti.

Un’altra voce a cui fare attenzione è quella delle “farine di carne” perché secondo le normative “tutto ciò che è scarto per l’alimentazione umana in entrata o in uscita può essere trasformato in farina”.

Questo vuol dire che nelle farine si può trovare la carne scaduta dei supermercati, quella che nei supermercati non c’è potuta neppure entrare perché non rispettava dei parametri microbiologici, perché per esempio aveva subito delle contaminazioni batteriche durante il trasporto o perché l’animale era malato, inoltre troviamo tutto ciò che resta dell’animale come zoccoli, ossa, cartilagini, peli, setole, pelle.

Pur volendo sorvolare sulla qualità di queste materie prime, alla fine di carne vera e propria all’interno di queste farine ce n’è davvero pochissima. Alcune ricerche infatti hanno stimato che nelle farine c’è in media non più del 6-7% di carne reale.

Andando avanti nella ricerca della presenza della vera carne nel cibo industriale, quando nell’etichetta di un prodotto secco (crocchette) si trova la parola “carne” bisogna porre attenzione alle diciture “fresca” o “cruda” o “disossata“.

Questi aggettivi riferiti alla carne non intendono che è fresca nel senso di sana e appena macellata, ma che la carne è stata pesata quando ancora era cruda e non già essiccata. In un prodotto secco l’essiccatura è un passaggio obbligato durante il quale la carne, che come tutti gli alimenti crudi è ricchissima di liquidi, perde tra il 70% e il 75% del suo peso.

Per fare un esempio pratico, se ci troviamo di fronte ad un prodotto con il “28% di carne di agnello fresca“, sottraendo il 70% di acqua di quel 28% resterà un più realistico “8,4% di carne di agnello“.

Questa scelta di indicare come ingrediente la carne quando è ancora cruda, viene fatta dalle aziende per poter segnalare una percentuale di presenza molto maggiore rispetto a quella effettiva e garantirsi così di poterla elencare come primo ingrediente. In questo modo la carne sembrerà essere l’ingrediente principale, in realtà non lo è.

Imparare a leggere le etichette: i carboidrati divisi in singole voci. Sommati insieme diventano l’ingrediente principale

Analizzando decine e decine di etichette mi sono imbattuta in alimenti che non solo avevano un cereale come primo ingrediente, ma questo si ripeteva semplicemente cambiando “forma“, come nell’etichetta riportata qui sotto.

imparare a leggere le etichette

Questo è un classico esempio di famiglia di ingredienti, cioè uno stesso ingrediente, il mais, riportato però in etichetta più volte sotto forme diverse in termini di suoi derivati. Tuttavia le proprietà nutritive di quell’ingrediente restano le stesse: non c’è differenza tra mais, farina di mais e glutine di mais.

Tra l’altro sul glutine di mais va detto che è un residuo colloso che contiene molte proteine vegetali, che un carnivoro non riesce quasi ad assimilare e che impedisce la diarrea trattenendo nel corpo sostanze inutilizzabili sotto forma di tossine, provocando un notevole sovraffaticamento epatico e renale.

Le aziende spezzano in più voci uno stesso ingrediente cercando di mascherarne in qualche modo l’eccessiva quantità, e questo è ancora più evidente in questa etichetta dove non state riportate le percentuali, perché se queste ultime fossero state basse indicarle avrebbe dato una prova di quantità contenute, il che sarebbe stato auspicabile, visto che è un cibo destinato ad un carnivoro e non ad un volatile a cui sembra invece essere più adatto.

L’etichetta su riportata appartiene ad un cibo secco di una notissima marca pubblicizzato come “Alimento completo specifico per cani adulti di Taglia Grande (oltre i 25kg di peso)“, in realtà del tutto inappropriato, vista la presenza di cereali notevolmente più alta della parte proteica rappresentata dalle famose proteine disidratate e idrolizzate di cui abbiamo parlato prima.

Imparare a leggere le etichette: le diciture generiche

Restando sempre su questa etichetta abbiamo anche l’occasione per sottolineare un altro ingrediente a cui fare attenzione i “grassi animali“. Una dicitura così generica indica che siamo difronte a scarti, molto spesso contaminati con oli per frittura esausti o addirittura oli minerali, vale a dire quelli utilizzati come lubrificanti per i motori, come dimostrato da uno studio condotto in Svizzera.

Questo discorso vale anche per i grassi vegetali e in generale in presenza di voci generiche, meglio valutare un altro prodotto.

Imparare a leggere le etichette: le speciali diciture che ingannano

Continuando la ricerca della reale presenza di carne nei cibi commerciali va senz’altro evidenziato l’uso “furbo” che si fa delle parole.

Le normative regolano anche i contenuti minimi previsti in un determinato prodotto a seconda di come viene presentato, ma per il consumatore medio queste diciture risultano ingannevoli e fuorvianti, a meno che non si conosca la normativa. Ecco, facendo degli esempi, cosa è importante sapere:

  • quando troviamo “GUSTO pollo”o “AROMATIZZATO con pollo”, per legge può essere presente un contenuto in pollo inferiore al 4%;
  • la dicitura “CON pollo” indica che deve essere presente minimo il 4% di pollo;
  • la dicitura “RICCO in pollo” indica un contenuto minimo del 14% in pollo;
  • la dicitura “MENÙ pollo” un contenuto non inferiore al 26% in pollo.

Queste percentuali valgono sia per i prodotti umidi che per quelli secchi.

Se su un’etichetta di un sacco di crocchette troviamo “CON pollo (4%)”, sapremo con certezza che solo il 4% è costituito da pollo (e, attenzione, non “carne di pollo“, ma “pollo“), di tutto il resto ignoreremo da che animale provenga, oltre a dover capire quali altre fonti (animali o vegetali, come i legumi) contribuiscono a raggiungere il 22% di proteine minimo per legge.

Imparare a leggere le etichette: i legumi come fonte proteica

Per finire vorrei attirare l’attenzione sull’etichetta che segue, anche questa di una nota marca di crocchette per cani di fascia medio-alta, che anche io compravo prima di imparare a leggere le etichette, e che credevo fosse ottima.

imparare a leggere le etichette

In questa etichetta di un alimento cosiddetto “grain free” (cioè “senza cereali“), come appare evidente, compaiono i legumi, divisi in diverse tipologie e distribuiti lungo la lista degli ingredienti (piselli interi, lenticchie rosse intere, ceci interi, lenticchie verdi intere, piselli gialli interi, fibra di lenticchie), in modo da dare l’impressione di una minore quantità.

Ancora una volta siamo difronte ad una stessa famiglia di alimenti, con proprietà nutritive simili, che sommati insieme costituiscono una grossa fonte di amidi di difficilissima digestione per un carnivoro, come l’amilosio, e contengono elevate quantità di fattori antinutrizionali, che impediscono il corretto assorbimento degli altri nutrienti presenti nella dieta*3.

I legumi pur essendo una buona fonte proteica, non essendo facilmente digeribili per cani e gatti, possono alla lunga portare a disbiosi e trattandosi di vegetali hanno un basso valore biologico, perché non contengono tutti gli amminoacidi essenziali per un carnivoro.

Inoltre c’è da sottolineare che una presenza importante di legumi contribuisce a far crescere la percentuale di proteine grezze nei “Componenti analitici” e contemporaneamente, non contenendo sali minerali in quantità pari agli alimenti di origine animale, a mantenere bassa la percentuale delle ceneri grezze, sempre nei “Componenti analitici“, che vedremo come analizzare nel prossimo articolo.

In questa etichetta c’è ancora da sottolineare la grande presenza di alimenti vegetali “freschi“, che una volta essiccati risulteranno in quantità minori di quelle dichiarate (i vegetali contengono mediamente il 90%-95% di acqua).

Imparare a leggere le etichette: gli zuccheri nel cibo per gatti

Per chiudere questa prima parte dedicata agli ingredienti della composizione dei prodotti, invito tutti i compagni dei gatti a fare molta attenzione alla presenza degli zuccheri soprattutto nei cibi umidi.

Lo zucchero viene utilizzato come conservante, molto economico, e come esaltatore di sapidità ovvero come appetizzante. La presenza dello zucchero è causa di due problemi: sviluppa nei gatti una sorta di dipendenza (è ormai noto che gli zuccheri creano dipendenza), rendendo molto difficile disabituarli ad un determinato alimento ( senza contare la loro naturale avversione per i cambiamenti); è la principale causa scatenante di diabete e problemi articolari, oltre ad aggredire lo smalto dei denti.

I gatti sono carnivori obbligati, nella loro dieta naturale anche i carboidrati (zuccheri complessi) sono presenti in percentuali bassissime, il loro organismo non richiede zuccheri, perché ricavano l’energia di cui hanno bisogno dalle proteine, né è predisposto a metabolizzarli; assumerli quotidianamente può causar loro diversi problemi, tra cui infiammazioni intestinali, obesità e diabete.

In conclusione: informarsi il più possibile e imparare a leggere le etichette

Dopo l’analisi di questa prima sezione delle etichette appare chiaro che non bisogna farsi abbagliare dalla notorietà della marca di quello che compriamo.

Anche – e forse soprattutto – le grandi aziende, quelle più famose, tendono ad essere poco trasparenti e fuorvianti nella descrizione degli ingredienti che compongono i loro prodotti, oltre a utilizzare spesso materie prime di bassa qualità, a tutto vantaggio dei loro introiti e a svantaggio della salute di cani e gatti, che a lungo andare svilupperanno disturbi dovuti ad un’alimentazione non appropriata alla loro specie.

Nell’intento di trovare un cibo commerciale che sia più naturale possibile, oltre a porre attenzione alla lista degli ingredienti, dovremmo cercare di reperire notizie sulle modalità di produzione, se c’è una tracciabilità delle materie prime, dove e come sono allevati gli animali da cui provengono le carni utilizzate, se vengono eseguiti test sugli animali.

Esistono piccole aziende che non investono in pubblicità, ma sulla qualità del loro prodotto e che rivendono direttamente ai loro clienti senza passaggi intermedi. La loro forza è basata esclusivamente sulla qualità del prodotto, altrimenti non sopravviverebbero alla concorrenza delle grandi industrie. Il cibo industriale di qualità si trova quasi esclusivamente su Internet o direttamente dai singoli produttori, bisogna cercalo.

È quello che ho fatto io quando mi sono resa conto di non poter gestire un’alimentazione casalinga, ma non volevo rinunciare a dare a Kiba il miglior nutrimento possibile. Il mio primo passo è stato proprio imparare a leggere le etichette, ed è per questo che voglio insegnarlo a te che stai leggendo.

Nel prossimo articolo ti insegnerò ad imparare a leggere le etichette nella sezione che riguarda i “Componenti analitici”.

Nel frattempo se vuoi, puoi scaricare gratuitamente la “Guida rapida alla lettura dell’etichetta” cliccando sul pulsante qui sotto

In alternativa, se vuoi un’analisi più approfondita dell’etichetta del cibo che stai attualmente usando, puoi richiedermi una consulenza, gratuita e non impegnativa, riempendo il modulo nella pagina dedicata alla “Consulenza alimentare“, o scrivendomi all’indirizzo info@secondonaturapetfood.it.

Sarò felice di aiutarti.

*1 Regolamento Europeo 767/2009

*2Si veda Regolamento Comunità Europea N48 03/10/2000 e Regolamento CE n.1774/2002

*3 Nel 2018, la FDA – Food and Drug Administration – ha aperto un’inchiesta a seguito di numerosissime segnalazioni di miocardiopatia dilatativa di probabile origine alimentare, in seguito all’assunzione di alimenti grain free ricchi di legumi

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Valeria De Riso

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